Addio all’ultimo segretario della Dc

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(red.) Aspetto ascetico e sofferente, ultimo segretario della Dc e primo del Ppi, Mino Martinazzoli se ne è andato tre mesi prima dei suoi 80 anni, nella stessa casa di Caionvico, nel Bresciano, dove ha vissuto la sua lunga malattia.
Si rattrista per la sua scomparsa la politica, che del pupillo di Benigno Zaccagnini ricorda gesti clamorosi, come quando si dimise via fax dal governo per protestare contro l’approvazione dell’inadeguata legge Mammì.
Ancora per fax, raccontano, Martinazzoli si dimise nel ’94 dal Ppi, il partito che aveva fatto nascere dalle ceneri della Dc dopo esserne stato segretario per due anni, dal ’92, eletto per acclamazione in piena Tangentopoli. Con il Ppi Martinazzoli aveva tentato di risollevare lo scudocrociato, ritrovandosi invece a dover gestire l’avvio di una diaspora (i primi a partire furono Clemente Mastella e Pier Ferdinando Casini, per fondare il Ccd ed allearsi con un Berlusconi appena sceso in campo) e della serie di innumerevoli scissioni e battaglie legali tra i cattolici in politica.
Martinazzoli, dopo aver invano cercato di convincere il Cavaliere a scendere in campo come senatore del Ppi, a capo del nuovo partito scelse la strada del Patto per l’Italia, polo centrista con Mario Segni alternativo alla coalizione di sinistra dei Progressisti e a quella di centrodestra della prima alleanza tra Forza Italia, l’Msi appena sdoganato e non ancora trasformatosi in An, la Lega Nord.
Le elezioni andarono male e Martinazzoli lasciò a Rocco Buttiglione la guida del Ppi (non senza uno scambio di battute al veleno via agenzia nei mesi successivi) per tornare nell’autunno successivo, pressato dalle richieste di molti e preoccupato per la nuova alleanza di centrodestra al potere, come sindaco di Brescia per una coalizione di centrosinistra Ppi-Pds, prefigurando quella che, qualche mese dopo, diventò l’alleanza dell’Ulivo di Romano Prodi (che infatti oggi commenta ”senza di lui non ci sarebbe stato”).
Dal ’72 al ’94 ininterrottamente in Parlamento (prima da senatore, poi da deputato e dopo ancora a Palazzo Madama), Fermo Mino Martinazzoli, studi di legge, avvocato di professione, è stato anche capogruppo dei deputati democristiani e più volte ministro: Difesa, Giustizia, Riforme Istituzionali. Cocente fu la sua delusione, si racconta, quando sfumò a vantaggio di Giovanni Goria la chanche di diventare presidente del Consiglio, dopo il veto posto da Bettino Craxi a Ciriaco De Mita premier. Brutta da smaltire anche la sconfitta del 2000, quando Martinazzoli perse male la corsa alla Presidenza della Regione Lombardia contro Roberto Formigoni: 61 a 32. Ma lui (che poi tornò insieme a Clemente Mastella nell’Udeur, quando il Ppi diventò Margherita) per i cinque anni successivi frequentò il Pirellone da semplice consigliere comunale, prima di eclissarsi nella provincia bresciana per seguire da lontano gli accadimenti della politica.
E profondo cordoglio per la morte di Martinazzoli è stato espresso, in un messaggio alla famiglia, dal presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni.
”Uomo politico, studioso e statista di rilievo”, scrive Formigoni, “abbiamo prima militato insieme nella Democrazia cristiana; poi siamo stati avversari fino alla competizione regionale del 2000 che ci vide candidati alla presidenza della Regione per due schieramenti contrapposti: ma lo abbiamo fatto con rispetto reciproco e nella comune difesa dei valori di democrazia e di partecipazione popolare”.
Anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, appresa la notizia della scomparsa dell’ex segretario Dc ha inviato un messaggio alla famiglia. ”Nel corso di lunghi anni potei seguirlo e apprezzarlo nei molteplici impegni parlamentari e di governo, assolti tutti con altissimo senso delle istituzioni e dell’interesse nazionale, secondo una concezione limpida e nobile della politica. Da segretario della Dc, in momenti drammaticamente difficili per il suo stesso partito come quelli del biennio 1992-’93, diede prova della sua capacità di considerare sempre prioritari i valori della legalità e i doveri morali rispetto a qualsiasi calcolo e interesse di parte.
Egualmente forte è il ricordo che serbo della sua cultura e della sua sensibilità quali si manifestavano in ogni dibattito pubblico e privata conversazione. La Repubblica perde con Mino Martinazzoli un uomo fra i migliori che abbia avuto al servizio degli ideali democratici e della cosa pubblica”.

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