Tremosine, nuove grane giudiziarie per il sindaco

Diego Ardigò il 12 aprile in tribunale per peculato e falso ideologico. Utilizzò soldi del comune per scoprire se c'erano cimici nei telefoni e per una consulenza legale.

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(red.) Ancora guai giudiziari per Diego Ardigò, il sindaco di Tremosine che lo scorso 29 novembre è stato condannato a due anni di reclusione e di interdizione dagli incarichi pubblici per avere dato il via libera alla costruzione di una piscina e di alcuni garages in modo illecito.
I fatti risalgono al 2003 e riguardano la realizzazione opere nell’area del residence Antica Stella d’Oro, a Pieve di Tremosine.
L’indagine allora riguardava un’ipotesi di abuso edilizio, ipotesi di reato che nel frattempo è andata in prescrizione. Rimase in piedi solo l’accusa di abuso d’ufficio a cui è stato chiamato a rispondere il sindaco Ardigò, coinvolto peraltro in un’altra vicenda giudiziaria insieme con altre persone per presunte irregolarità edilizie commesse nella realizzazione di alcune opere pubbliche e per la quale ritornerà in tribunale il 27 gennaio.
Il primo cittadino però dovrà comparire di nuovo in tribunale il 12 aprile per un’altra vicenda, la terza.
E’ accusato di avere utilizzato denaro pubblico per far “bonificare” i telefoni dell’ufficio comunale dalla presenza di “cimici” e microspie.
I locali dell’amministrazione pubblica vennero chiusi mentre all’interno si svolgeva la verifica degli addetti. Pesanti, anche in questo caso, le imputazioni che gli vengono mosse: interruzione di pubblico servizio, falso ideologico e peculato.
L’episodio risale a due anni, durante un sabato mattina, quando l’ufficio anagrafe rimase chiuso per i rilievi dei tecnici.
Ardigò qualche giorno dopo verbalizzò durante una riunione di Giunta che l’intervento si era reso necessario per il corretto funzionamento della telefonia, autorizzando l’esborso (4.400 euro) a carico del comune.
Oltre a questo episodio al primo cittadino di Tremosine viene anche contestato l’incarico dato ad un un patrocinatore legale per conoscere se il suo nome comparisse nel registro degli indagati dopo un’ispezione del Corpo Forestale dello Stato. E non, come fatto verbalizzare in delibera, per definire una pratica di integrazione documentale richiesta dalla polizia giudiziaria.
La fattura pagata al professionista (1.500 euro) anche in questo caso venne addebitata sul conto della’mministrazioen comunale

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