Prosegue la lotta contro il polo logistico di Castel Mella, depositato ricorso al Tar

Nella frazione di Macina dovrebbe sorgere un nuovo complesso produttivo di 60mila metri quadri, con capannoni alti 19 metri. I residenti protestano contro l'impatto visivo e l'inquinamento che ne deriverebbe.

Castel Mella. Continua la lotta degli abitanti di Macina, frazione storica di Castel Mella, contro la costruzione di un nuovo polo della logistica. Le proteste contro l’impatto ambientale e paesaggistico del progetto sono iniziate a maggio. Il 5 febbraio i residenti si sono rivolti al Tar con un ricorso, sostenuti anche da Legambiente Lombardia. L’accusa è che l’amministrazione comunale abbia approvato l’opera senza realizzare prima una “Valutazione ambientale strategica”.
Il nuovo centro logistico occuperebbe un’area di 62mila metri quadri e sorgerebbe nei pressi di alcune abitazioni. La proprietà è di Copan, ditta nota per la produzione dei tamponi per il Covid.
Il Comune ha modificato la destinazione della zona nel 2020, trasformandola da “mista” a “industriale”, ma secondo il comitato Salva Macina la cittadinanza non sarebbe stata avvertita in tempo.
In opposizione al nuovo polo a giugno è stata lanciata una raccolta firme, mentre un mese prima la questione era stata dibattuta nel corso di un’interrogazione parlamentare.
Il progetto prevede la costruzione di un grosso complesso produttivo con capannoni alti 19 metri, oltre alla cementificazione di 29mila metri quadrati. Un terzo di tutto il territorio di Castel Mella è già cementificato (dati Arpa), ma i danni non si limitano all’impermeabilizzazione del suolo e all’impatto visivo. Nella zona aumenterebbe il traffico di mezzi pesanti, con una crescita considerevole dell’inquinamento atmosferico e acustico.
Come spesso succede in questi casi, la richiesta è di rinunciare a nuove colate di cemento e riutilizzare i numerosi capannoni dismessi che costellano la provincia.
Secondo il comitato di cittadini la piccola barriera verde prevista nel progetto non sarebbe neanche lontanamente sufficiente a rendere l’opera “a basso impatto ambientale e paesaggistico“, impatto sul quale ha espresso parere negativo anche la Soprintendenza archeologia belle arti e paesaggio.

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