Pierino e il lupo razzista

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Non sappiamo quanti anni abbia, dove viva e quale sia l’orientamento politico di Anna Faroni, l’insegnante di lettere della scuola media Pascoli al centro della polemica di questi giorni per un questionario definito “anti Islam” e quindi contestato da alcuni genitori più o meno progressisti e da un’associazione islamica locale. Non lo sappiamo, dicevamo, ma non ce ne importa molto. Ci importa invece parlare del comportamento di chi ha soffiato sul fuoco della polemica per prendere le distanze, deplorare, attaccare. Agitando lo spettro del razzismo, dell’incitamento all’odio contro le minoranze, della tendenziosità indegna di una scuola pubblica e via enfatizzando.

Non vogliamo qui riprendere la solita litania della reciprocità, tipo: come pensate che sarebbe trattato un occidentale in una scuola pubblica di Teheran, Islamabad, Riyad…? E neppure vogliamo ricordare gli innumerevoli gesti d’odio anti-europeo che ogni giorno le pagine degli esteri dei giornali ci propongono. Perché un Paese di grande civiltà e antica tradizione come l’Italia deve seguire la propria strada.
Le nostre ospitalità, tolleranza e apertura verso l’esterno, più che essere figlie del neosolidarismo cattolico o del progressismo post-comunista, derivano direttamente dai mercanti italiani dei tempi dei Comuni. Hanno quindi radici molto lontane e non saranno certo messe da parte e dimenticate. Con buona pace di chi pensa che i muri (o le motovedette) possano tener lontano l’invasore o che la parola diverso sia sinonimo di pericoloso.

La verità è che non se ne può più dei maestrini del politically correct pronti a darci gratuitamente lezioni di saper vivere, dei saputelli che fanno l’esame del sangue a ogni parola e a ogni gesto, dei professionisti della pubblica stigmatizzazione, che ci mettono in guardia da pericoli che spesso sono solo nella loro testa.
Il comportamento di queste persone (che si trovano a destra e a sinistra, in ogni movimento e in ogni gruppo) ricorda tanto la favola di Pierino: a forza di gridare al lupo per casi di portata infinitesimale, si troveranno con qualcosa di molto peggio sulla testa e allora più nessuno ascolterà le grida d’allarme.
E’ vero che nella scuola bisogna stare doppiamente o triplamente attenti, perché è lì che si plasma il futuro di una società e anche gesti piccoli possono provocare effetti enormi.

Ma le avete lette le domande del sondaggio incriminato? Noi sì e francamente non ci sono sembrate così razziste e violente. Più violente, a dir la verità, ci sono apparse certe reazioni, che hanno costretto l’insegnante sotto accusa a chiedere pubblicamente scusa ai propri alunni per aver tentato – magari un po’ ingenuamente e in maniera forse maldestra – di far loro capire qualcosa in più su atteggiamenti con i quali si confrontano ogni giorno.

Ma fa ancor più specie l’evidente imbarazzo di alcune autorità scolastiche, spaventate all’idea di trovarsi alle prese con un “caso” finito addirittura sulle pagine dei giornali nazionali. E’ così che si tutelano i propri collaboratori? Prendendo le distanze, scusandosi e dicendo che non si era stati informati (il preside) o imponendo il ritiro del foglio con le domande incriminate (il provveditorato)?
In queste cose bisogna entrare nel merito: se il questionario era veramente razzista andava “sgridata” l’insegnante, altrimenti bisognava mandare a quel paese i protestatari, islamici e no.
Un’accusa di razzismo nella scuola è molto grave: per questo non basta limitarsi a buttare acqua sul fuoco. A meno che non ci si voglia trovare presto alle prese con mille altri incendi.

(pubblicato il 24 novembre 2006)

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