AAA, strategia cercasi per l’ambiente bresciano

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Dove abbiamo vissuto in tutti questi anni? Che cosa abbiamo bevuto, mangiato, respirato? Su quale terra abbiamo costruito le nostre case, le scuole per i nostri figli, i parchi dove far giocare i nostri bambini?
Basta una rapida carrellata a volo d’uccello sullo stato dell’ambiente dalle nostre parti per farci cadere le braccia e indurci a insultare pesantemente quei pochi irriducibili che ancora esaltano e rimpiangono il modello bresciano di sviluppo degli Anni 60-70.

Facciamo mente locale per un momento. Gran parte dei paesi dell’hinterland cittadino ospita discariche più o meno abusive piene di veleni di ogni genere, compresa roba radioattiva arrivata da chissà dove. Ogni discarica abusiva, come si sa, significa inquinamento delle falde acquifere, avvelenamento dell’erba, delle colture e degli animali. La città ne è circondata.
E che dire dei fiumi che scendono dalle nostre valli industriali trasportando gli scarichi lerci prodotti da comuni che non riescono a imporre alle loro aziende nemmeno di far funzionare un depuratore?

Come se non bastasse, si gratta via un po’ di terra vicino alla Fiera per costruire uno svincolo della tangenziale e vien fuori un’enorme area piena zeppa di residui della lavorazione siderurgica: metalli pericolosi, materiali immondi, porcate di ogni genere.
Qui devono aver scaricato robaccia per anni. Chi è il colpevole? Boh. I titolari del terreno ormai sono scomparsi. E a suo tempo nessuno ha notato il via vai di camion, nessuno ha pensato di controllare, nessuno pagherà per questo sconcio. E secondo noi molte sorprese si nascondono in altre parti della città.

Un po’ più in là, tra via Milano e la ferrovia, nell’ex zona delle acciaierie che diventerà un’enorme area commerciale con negozi, uffici e residenze di lusso, si scopre che il suolo è talmente impregnato di residui di ogni genere da dover essere bonificato asportando la terra fino a una profondità di molti metri.
Uno scandalo? Macché, come non fosse successo niente: per una città come Brescia è normale amministrazione. E infatti c’è ben di peggio. Proprio a due passi da lì c’è la Caffaro, con i residui di Pcb diffusi in tutta la zona sud ovest della città.
Annunciano che arriveranno 6,7 milioni di euro per bonificare qualcosa e che altri
soldi per i primi interventi saranno pagati con fondi regionali. Proprio l’emergenza più impellente.
Certo, di questi tempi non si possono fare miracoli, ma questi 6,7 milioni sono proprio una goccia nel mare per una zona come quella della Caffaro. Pensate: secondo alcuni esperti per smaltire il Pcb da quelle parti bisognerebbe trasformare in bosco una fascia di almeno 100 mila metri quadrati e lasciarla lì senza toccare niente per 300 anni. E non è detto che poi il problema sarà risolto.

Ma quello che fa più specie non è tanto l’impotenza delle autorità di oggi e la trascuratezza o la (probabile) complicità delle autorità di ieri. Quarant’anni fa non esisteva purtroppo una cultura ambientalista e chiudere gli occhi per non infastidire gli amici degli amici era una pratica piuttosto diffusa, non solo da noi.
E oggi che molte schifezze stanno venendo alla luce, che cosa possono fare i governanti locali – essendo impreparati ad elaborare strategie in questo settore – se non tamponare le falle qua e là, arrabattandosi come possono con i problemi di bilancio?
Inoltre, valli a trovare i colpevoli. Perfino quando sono sotto gli occhi di tutti, arrivano in tribunale assistiti da schiere di avvocati e sempre con la prospettiva di trascinare per anni la causa.

No, quello che fa più specie è la nostra rassegnazione. Siamo noi quelli che respirano male, che si ammalano di tumore, che hanno la bronchite cronica o l’asma fin da bambini. Siamo noi quelli con il fegato grosso così, con i reni che non filtrano, con il cuore che batte a fatica. Eppure sono pochissimi quelli che combattono le battaglie ambientali.
Tutti lo sanno, ma nessuno lo dice: queste fabbriche in mezzo alle case dovrebbero chiudere oppure spostarsi, tutto il resto è un palliativo. Le industrie pericolose e quelle che hanno inquinato devono essere cacciate via dalla città. Ma sono ancora lì, quasi irridenti.
Perché guai a pronunciare la parola chiusura: la proprietà insorge e qualche sindacalista s’arrabbia subito. Per difendere il profitto e pochi posti di lavoro accettano di far pagare a tutti noi un costo sociale altissimo.

Ma i quartieri non si mobilitano e quindi le autorità non si muovono. Nessuno va a presidiare i cancelli perché padri, madri e nonni non sono organizzati e se pensano al domani dei propri figli e nipoti lo fanno allargando le braccia e sperando che in futuro le cose possano andare meglio. Invece si rassegnino, perché non sarà così finché non ci sarà una vera strategia.
Bisogna svegliarsi: amministratori, sindacati, partiti, associazioni devono cominciare a discutere del problema ambientale della nostra provincia in maniera globale, prendendo nota dei molti, troppi punti di crisi e ragionando insieme sui tempi e sui modi per risolverli. Ma solo la pressione degli elettori e dell’opinione pubblica può spingerli a farlo.
E gli ambientalisti? Sarebbero quelli deputati a smuovere le istituzioni e a piantare tra le persone il seme della mobilitazione. Ma loro fanno quello che possono: da noi sono quattro gatti e si lamentano perché nessuno se li fila. Per forza, non capiscono che sarà sempre così se non cominciano a muoversi con forza sui temi concreti e a uscire dal salotto scendendo per strada.

(pubblicato il 6 febbraio 2007)

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