Morte in psichiatria, tutti assolti

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    Nel 2000 un 20enne spirò per un embolo dopo 5 giorni nel letto di costrizione.


    (red.) Assolti perché il fatto non costituisce reato. E’ finito in questo modo, mercoledì pomeriggio, l’iter giudiziario per sei medici bresciani in servizio nel reparto di Psichiatria del Civile nel 2000, accusati a vario titolo per la morte di un giovane ricoverato. Il ragazzo di soli vent’anni, era stato portato in psichiatria il 4 gennaio del 2000 per un trattamento sanitario obbligatorio, a seguito di una crisi dovuta a schizofrenia. In reparto il giovane venne sedato e immobilizzato nel letto di contenzione per cinque lunghi giorni. Ma quando venne poi liberato dalle cinghie ebbe un malore, provocato da un embolo. Poi il coma e, dopo cinque giorni di ricovero, il giovane si spense.
    Ieri mattina l’avvocato di parte civile Ennio Buffoli aveva, invece, chiesto la condanna dei sei medici del reparto e una provvisionale di 150 mila euro per i familiari del ragazzo.

    Per l’avvocato di parte civile la morte per embolia era senz’altro da ricondurre all’immobilità per cinque lunghi giorni nel letto di contenzione. Tesi avvalorata dal fatto che, come sottolineato dal legale, dopo la morte del giovane venne cambiato il protocollo d’intervento e ora, come prassi, ai pazienti immobilizzati vengono somministrati farmaci per fluidificare il sangue e scongiurare il pericolo di una trombosi.
     Il giudice Francesco Beraglia ha però deciso di accogliere le richieste del pm Francesca Stilla, avanzate nella scorsa udienza, nella quale il pubblico ministero aveva sostanzialmente chiesto l’assoluzione dei sei medici imputati per omicidio colposo, a causa della “contradditorietà della prova”, negando nei fatti il nesso tra la costrizione a letto e la morte del giovane.

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