Brescia Noir: giustiziato per strada a Muratello

E' la storia di Claudio Ghidini, 19enne di Vestone. A sparare Salvatore Ruffili, carabiniere di 25 anni. Sono le tre di notte del 27 giugno dell'anno 1989.

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    di Diego Serino
    Una storia di quasi trent’anni fa, di quelle che fanno male per coloro che credono nella legge e nella giustizia ma che meritano di essere ricordate per la loro gravità ed affinché non accadano mai più.
    Questa è la storia della morte di Claudio Ghidini, diciannovenne di Vestone freddato con un colpo alla tempia da un ragazzo poco più grande di lui, il carabiniere abruzzese Salvatore Ruffili di appena 25 anni. Claudio è figlio di un operaio, Egidio, e di Maria Plona. La famiglia Ghidini evidentemente non è fortunata e, prima della morte di Claudio, era già stata colpita da un’altra tragedia, un incidente sul lavoro che si era portato via suo fratello Osvaldo. Di tre figli ai Ghidini ne resterà solo uno: Fabio.

    Sono le tre di notte del 27 giugno 1989, tre amici, tra cui lo stesso Ghidini, tornano da una serata passata in discoteca a fare festa, come logico per ragazzi della loro età. A Muratello di Nave la loro Fiat Ritmo viene fermata dai carabinieri. I ragazzi vengono fatti scendere e condotti dall’altra parte della strada. Qui succede qualcosa tra Ghidini e Ruffilli, probabilmente, ai ragazzi non piacciono gli agenti ed agli agenti non piacciono questi giovani, che vanno in giro fino a tarda notte. Probabilmente, come succede spesso, tra chi ha una divisa e si fa forte di quella, e chi invece ama farsi i fatti propri, gli animi si sono fatti tesi.

    Pare che Ghidini offenda Ruffilli, dandogli del “terrone” e che questi non la prenda tanto bene. L’agente perde il senno, spintona il ragazzo e lo prende a schiaffi costringendolo a tornare dall’altra parte della strada verso l’auto. Qui esplode il colpo che colpisce Ghidini alla tempia trapassandogli la testa. Il ragazzo muore ed è anche chiaro chi è stato a sparare, ma come spesso succede in questi casi anche davanti all’evidenza dei fatti sembra sempre più difficile individuare verità e responsabili. Tra le polemiche, anche politiche, ci si avvia verso il processo: da un lato il pm Guglielmo Ascione, convinto dell’omicidio volontario, dall’altro i legali del carabiniere, la coppia Scapaticci-Biondi, che puntano sulla disgrazia per salvare Ruffilli.

    In primo grado la Corte abbraccia per intero la tesi del pm e l’appuntato dei carabinieri viene condannato a quattordici anni, così in appello. Nel ’91 la corte di cassazione annulla la condanna sancendo di fatto la completa revisione del processo. A giugno ’92 la corte di cassazione di Milano commuta la condanna per omicidio volontario in omicidio colposo aggravato, riducendo sensibilmente la pena di Ruffilli, condannato a soli quattro anni e otto mesi. Di questi due anni e sette mesi già scontati ai domiciliari, gli altri due condonati. 

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