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Brescia Noir, la lite con il bracconiere a Brozzo e gli spari

E' il 26 novembre del 2002. Il corpo senza vita di Elio Mazzoldi viene trovato sulle colline triumpline. A sparare un cacciatore di frodo che confessa.

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    di Diego Serino
    Elio Mazzoldi ha 67 anni, è vedovo da una decina d’anni: la moglie fu trovata morta in un hotel di Parigi. E’ un uomo dai modi burberi, talvolta litigioso, ma in realtà buono. E’ uno con la testa a posto, comunque, rispettoso delle leggi e delle regole. Ama cacciare. Lunedì mattina del 26 novembre 2002, imbraccia il suo fucile, sale sulla sua Renault Clio e sparisce. Due giorni dopo la sorella preoccupata lancia l’allarme. Il giorno stesso viene ritrovata la sua auto ma di Elio nessuna notizia. Lo trovano solo al giovedì, il suo corpo è stato occultato in una zona impervia, sotto una ventina di pietre, poi coperte da foglie, in un bosco vicino a Brozzo di Marcheno, dove il pensionato viveva. L’hanno centrato con due fucilate calibro 16: la prima l’ha preso alla spalla, la seconda devastante gli ha aperto collo e torace.

    E’ stato colpito da distanza ravvicinata, stabilirà l’autopsia. Si pensa subito ad un cacciatore, i pallini portano le indagini lungo questa strada e la distanza ravvicinata fa escludere l’accidentalità dell’evento. Non ci sono dubbi: l’hanno ammazzo, forse proprio per questioni di caccia. Chi l’ha ucciso si è anche impossessato del suo fucile. Le indagini dei nuclei operativi antibracconaggio e dei carabinieri proseguono. Si cercano tracce di sangue. Si trovano alcune cartucce dello stesso calibro, alcune ancora piene. Nel mirino degli investigatori cacciatori e bracconieri. In mano agli investigatori un elenco infinito di appassionati dell’arte venatoria che abitualmente frequentano la zona, ma è difficile identificarli tutti; in questa zone sono molti coloro che cacciano di frodo. Si cercano testimoni. L’ipotesi delle forze dell’ordine è che il delitto nasca proprio in questi ambiti.

    Elio avrebbe potuto litigare per una preda contesa oppure per aver redarguito proprio dei bracconieri come spesso faceva. Passa una settimana di indagini serrate ma l’assassino continua a restare libero anche perché dagli ambienti venatori non arriva una grande collaborazione. Tra di loro c’è grande omertà. Sembra che quel delitto debba restare irrisolto, come un altro di quel periodo, quello di Robertina Orrù, ammazzata sotto casa a Molinetto di Mazzano. Dopo una settimana dall’omicidio, la sera del 3 novembre, Adriano Benedetti, agricoltore 43enne di Tavernole sul Mella si presenta dai carabinieri accompagnato dal suo legale, l’avvocato Luigi Frattini. Vuole parlare con il comandante Francesco Marra. Si costituisce. E’ lui l’assassino di Mazzoldi. E racconta la sua versione dei fatti.

    L’omicidio sarebbe avvenuto proprio per questioni di caccia. Benedetti racconta di aver colto in flagrante Mazzoldi mentre era intento a liberare alcuni pettirossi dagli archetti illegali proprio di proprietà dell’agricoltore di Tavernole. Un affronto imperdonabile per chi abita in montagna e pratica la caccia di frodo. Da qui era nata la discussione. Sarebbe stato Mazzoldi, secondo Benedetti, a puntare il fucile per primo. “Ho sparato per difendermi” sostiene Adriano. L’omicidio si sarebbe consumato intorno alle 13. Il colpo ravvicinato al cranio, tuttavia, lo incastra. “Il secondo colpo l’ho sparato perché avevo perso la testa” ammette Benedetti. I giudici lo condanneranno ad undici anni e 2 mesi di carcere

     

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