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Brescia Noir, la morte dopo 7 mesi di coma

Da Serramanna a Sarezzo, nel Bresciano, per trovare lavoro. Poi la rissa in compagnia del suo caporeparto e il cranio sfondato dal rivale.

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    di Diego Serino
    Non è facile abbandonare la propria casa, gli affetti, le amicizie, il mare e i propri ambienti. Certe volte però questa non è una scelta; è un obbligo, soprattutto per chi vive dove il lavoro non c’è. Così, come quella di tanti ragazzi che dalla Sardegna partono alla ricerca di un posto di lavoro che gli dia da vivere, inizia la tragica e breve avventura di Gianlugi Melis sul “Continente”.
    Gianluigi è nato a Serramana, in provincia di Sassari, ma da un mese è arrivato a Sarezzo, nel Bresciano, qui sì che c’è da lavorare. Gli e lo ha detto la sorella Paola che, ormai, a Brescia ci si è fermata a vivere. Gianluigi arriva e trova subito lavoro, in fabbrica. Gli danno mille euro al mese, che non sono tanti, ma per uno che non ha mai avuto occasione di guadagnare qualcosa sì, lo sono. E’ contento Gianluigi, e tra i colleghi qualche amico, con cui uscire a bere, mangiare e scambiare due chiacchiere, se lo è anche fatto.

    Come quel giorno, il 16 marzo del 2002: “Gigi” è stato a cena con i colleghi, sta rincasando, in compagnia del suo caporeparto, quando, in via dei Cinisino, incrocia il suo destino. Il suo è sotto le mentite spoglie di Massimo Zabbiani, 37 anni, anche lui operaio. Il diverbio scoppia per uno dei motivi più banali e più stupidi: la viabilità. Dalle parole si passa ai fatti. Melis ed il caporeparto scendono dall’auto, così fanno Zabbiani ed il suo amico Bruno Polotti, 31 anni, lumezzanese, anche lui operaio. Massimo è una testa calda, uno che non si fa tanti problemi a fare male alle persone ed a non usare solo le mani. Così, armato di spranga, colpisce in testa Melis che cade a terra privo di sensi con il cranio sfondato. I due operai lumezzanesi fuggono ma verranno riconosciuti e fermati poco dopo.

    Gianlugi, intanto, finisce in ospedale, in coma. Subisce numerosi interventi chirurgici alla testa. Passano i mesi, Gianluigi non ha ancora aperto gli occhi, i suoi aggressori, intanto, sono agli arresti domiciliari ma possono uscire per andare al lavoro. In realtà Zabbiani, qualche altro giro, di notte se lo fa, tanto da farsi arrestare nuovamente per evasione dai domiciliari, resistenza e lesioni a pubblico ufficiale. Nel frattempo la sua posizione e quella dell’amico che era con lui si aggravano. Gianluigi, dopo sei mesi di agonia, senza aver mai ripreso i sensi, muore e torna nella sua Sardegna in un feretro. E’ il 16 marzo del 2002. Al processo i difensori giocano la carta dell’involontarietà e delle cose scappate di mano, ma il giudice non la pensa così. A Zabbiani non viene concesso nessuno sconto, nemmeno le attenuanti generiche, anzi, la sua posizione è aggravata dai futili motivi, e si becca i suoi 30 anni tondi tondi. Bruno per aver partecipato alla rissa senza aver colpito il giovane sardo viene condannato a 14 anni e 10 giorni. Nei livelli successivi di giudizio la pena di Zabbiani verrà dimezzata a 15 anni, ridotta a 8 quella di Polotti. 

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