Settore lattiero-caseario: la qualità paga

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    (red.) È uno dei settori più importanti del sistema agroalimentare nazionale di cui, con un fatturato pari a 16,3 miliardi di euro, detiene il primato nell’ambito industriale di cui rappresenta il 12%.
    Eppure i dati sui consumi delle famiglie italiane elaborati dall’Ismea indicano un trend complessivamente in flessione negli ultimi anni.  
    È questa la lettura diffusa in occasione di Cheese, a Bra da oggi a lunedì 23 settembre, la manifestazione internazionale dedicata ai formaggi a latte crudo di qualità organizzata da Slow Food e Città di Bra con il contributo della Regione Piemonte.

    Infatti, secondo l’istituto di studi e servizi per il mercato agricolo e alimentare, la spesa sostenuta dalle famiglie italiane per i consumi domestici di latte e derivati è progressivamente diminuita nell’ultimo quinquennio (-4% tra il 2014 e il 2018). La flessione dei consumi domestici è proseguita anche nel 2018 (-1,3% rispetto al 2017 in termini di spesa), confermando il lattiero caseario come uno dei settori più critici dell’agroalimentare.

    In particolare, continua a essere penalizzante per la filiera la contrazione dei consumi di formaggi (-1,9% in volume e -1,2% in valore tra il 2017 e il 2018), troppo spesso oggetto di attacchi appositamente costruiti.

    Un quadro molto duro in netto contrasto rispetto a quello che accadrà in questi giorni tra le vie e le piazze di Bra, dove oltre 400 allevatori, casari e affinatori provenienti dall’Italia e dall’estero mostrano un settore tutt’altro che in sofferenza. E le conferme arrivano dalle richieste di partecipazione degli espositori – in aumento edizione dopo edizione a fronte di un regolamento molto più restrittivo che consente, anche per quest’anno, di soli formaggi a latte crudo – oltre che dall’interesse del pubblico e degli esperti del settore.

    Ed è qui che i dati meritano la lente d’ingrandimento: a fronte di un generalizzato calo dei consumi domestici i dati Ismea rilevano, infatti, segmenti molto dinamici, ad esempio in virtù delle caratteristiche qualitative in termini di tipicità e tradizione come nel caso dei formaggi Dop-Igp. Al contrario dei prodotti più «indifferenziati», come formaggi spalmabili, mozzarella vaccina, latte uht standard, che non incontrano le preferenze di consumo delle famiglie italiane, mostrando una forte contrazione. Senza dubbio gioca un ruolo fondamentale nell’indirizzare la scelta dei consumatori la maggiore attenzione agli aspetti salutistici e al benessere, la maggiore responsabilità verso le sorti del pianeta, il legame con il territorio di origine dei prodotti. 

    Insomma, come dice Slow Food da decenni, il formaggio è comunque un alimento per cui è consigliabile un consumo programmato e quindi perchè accontentarsi di una proposta qualsiasi? Dopo anni di battaglie, gli italiani stanno cominciando a capire che ciò che è buono per gli animali lo è anche per la salute di chi si nutre del cibo che da essi deriva. E quindi scendono gli acquisti dei prodotti che non vengono identificati con un territorio, il savoir faire dei produttori, la biodiversità di pascoli e razze animali. In sintesi, meglio poco ma buono – come gusto, per l’ambiente ma anche per la salute – anche se spesso questi formaggi hanno tutto un mercato a sé stante a volte parallelo rispetto a quello delle grandi catene. Proprio per il loro attaccamento al territorio, sono molto diffusi per questa tipologia di prodotti la vendita diretta in caseificio, nei mercati contadini, presso piccoli distributori e botteghe, presso le osterie, o addirittura al pascolo e perfino con l’e-commerce. 

    Il mondo degli espositori presenti a Cheese è tutt’altro che in contrazione, semplicemente questi produttori hanno costruito un’economia parallela che funziona e che può crescere ancora diventando un esempio virtuoso di utilizzo della terra. Del resto un’idea di mondo possibile dobbiamo costruirla a partire da chi ogni giorno mette in pratica un’alternativa, dimostrandoci che Naturale è possibile!

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