Maxi frode fiscale: al vertice una famiglia con base a Gussago

Secondo gli inquirenti a capo del sodalizio criminale che ha portato all'emissione di 27 ordinanze di custodia cautelare ci sarebbero padre, madre, figlio e zia materna. Avrebbero guadagnato il 10% su quanto fatturato.

Gussago. Le accuse di cui devono rispondere sono, a vario titolo, quelle di evasione fiscale, riciclaggio, autoriciclaggio ed emissione di fatture per operazioni inesistenti e, anche, per alcuni soggetti, quella di associazione a delinquere.
Sono 27 le ordinanze di custodia cautelare (8 in carcere, 14 ai domiciliari e 5 obblighi di dimora), ma complessivamente 73 risultano le persone indagate, emesse dalla procura di Brescia a conclusione dell’inchiesta svolta dai carabinieri di Gardone Valtrompia e dalla Guardia di Finanza su un vasto giro di fatturazioni false, per un valore di beni (posti sotto sequestro) che ammonta a oltre 93 milioni di euro.
Al vertice della “azienda criminale” ci sarebbe, secondo gli inquirenti, una famiglia bresciana che, nelle campagne di Gussago, aveva posto la propria base operativa. Un vero e proprio ufficio dal quale venivano gestite le operazioni contabili ed i trasferimenti di denaro. Padre, madre e il figlio 22enne, insieme con la zia materna, avrebbero messo in piedi un cospicuo giro di affari attraverso l’istituzione di società cartiere e prestanome, gli arrestati (Giuliano Rossini, la moglie Silvia Fornari, Giuliano Carlo Paganotti, Simone Della Valle, Flavio Guatta, Marco Pesenti, Renzo Forni e Giovanni Latempa,  Marta Fornari, sorella di Silvia, Emanuele Rossini il figlio della coppia, Gianluca Dolci, Roberto Bignami, Federico Boschetto, Alessandro Lucio Bugatti, Gerardo Lentini, Michele Logiudice, Nicola Buggeia, Enzo Pasotti, Marco Benzoni, F.D., Roberto Prandelli e Giovanni Galeazzi) avrebbero realizzato un giro d’affari di oltre mezzo miliardo di euro.

L’indagine è partita da una serie di lettere (oltre un centinaio) che Poste italiane aveva inviato a una (presunta) società bresciana in merito a bonifici on line effettuati a favore di «conti esteri aperti presso istituti di credito asiatici».
In meno di un anno (dall’agosto 2018 all’aprile del 2019) la società con sede nel Bresciano aveva movimentato qualcosa come 34 milioni di euro: per chi indaga si tratterebbe, appunto, di «pagamento di fatture ritenute inesistenti».
Nel luglio 2020, Marco Pesenti, uno degli arrestati nel blitz compiuto dalle Fiamme gialle e dagli uomini dell’Arma, viene “pizzicato” con 153mila euro in contanti nascosti in uno scatolone all’interno dell’auto. E’ la svolta che permette ai finanzieri di scoperchiare il vasto giro di fatturazioni false.

L’uomo, infatti, ammette che si tratta del pagamento “in nero” di un fornitore. Si scoprono così 42 società fasulle: sei presunte cartiere, 12 create per riciclare denaro senza mai essere state effettivamente operanti, e 18 quelle che hanno permesso agli indagati un guadagno del 10% su quanto fatturato.
A capo del sodalizio criminale ci sarebbero, secondo la procura di Brescia, Giuliano Rossini, 46 anni, e la moglie Silvia Fornari, 40 anni, cui i vari indagati si rivolgevano per mettere a segno il «meccanismo fraudolento».
In particolare, Fornari avrebbe avuto il compito dalla base operativa di Gussago, un cascinale in campagna, di «gestire i trasferimenti dei bonifici ricevuti su conti esteri».
Il figlio della coppia, Emanuele Rossini, e la zia Marta Fornari, sarebbero stati, secondo il Gip, «spesso protagonisti delle consegne del denaro ai clienti». Per comunicare tra di loro, gli indagati avrebbero utilizzato utenze telefoniche intestate ad inconsapevoli cittadini stranieri.

Grazie alle intercettazioni ambientali e telefoniche, nonché all‘apposizione di telecamere attorno all’edificio e lungo le strade che portano alla “base operativa” del presunto sodalizio criminale, gli inquirenti hanno scoperto che nell’ufficio gussaghese si trovava il router attraverso il quale venivano effettuati i bonifici esteri di quelle che vengono ritenute società cartiere.
Le indagini non sono ancora concluse: gli inquirenti stanno effettuando perquisizioni nei locali dove si sarebbero svolte le varie attività finanziarie, anche attraverso l’uso di cani addestrati a trovare contanti nascosti.

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