Lettere al direttore

In carcere ci vanno i più poveri – Celso Vassalini

Cortese Direttore e Redazione,
C’è un «malfunzionamento cronico» delle carceri italiane. Occorre «affrontare in tempi stretti l’emergenza». È una «questione scottante» che «va affrontata con concretezza-determinazione». La sensibilità, la calma e la saggezza (e un pizzico di possibilismo) del Presidente Sergio Mattarella.
Una grande preoccupazione pesa su quei credenti – sacerdoti, religiosi, cappellani delle carceri, laici impegnati nel volontariato – che nell’impegno quotidiano difendono in concreto la dignità della persona nelle carceri. Sono costantemente in trincea.
Clemenza per i detenuti l’aveva chiesta anche il Santo Giovanni Paolo II, nel corso della sua visita a Montecitorio il 14 novembre 2002. Domanda inascoltata, riproposta dal mai beato Pannella e da tanti altri.
Un cuscino di fiori bianchi e gialli che compone la parola «indulto», da illo tempore viene collocato ogni 8 dicembre ai piedi della statua dell’Immacolata in Piazza di Spagna. E’ avvolto da un nastro con la scritta: «Un atto di clemenza negato, Madre di Misericordia aiutaci»: è la voce dei detenuti, che rivolgono il loro appello a papa Francesco e al Presidente Mattarella.
Noi cittadini e cittadine chiediamo, viste le condizioni di «penoso sovraffollamento» delle carceri, chiediamo «un segno di clemenza», «mediante una riduzione della pena».
Tanti gli appelli dei rappresentanti di tutti i gruppi politici, ma nessuna scelta efficace. Solo l’indultino. Un appello rimasto nella sostanza inascoltato. Niente altro, ora campo largo e maggioranza devono andare in vacanza. Mentre i detenuti continuano ad affollare le carceri.
Complessivamente, sono pochissime le parole di denuncia per le condizioni disumane che vivono i carcerati, nella stragrande maggioranza tossicodipendenti, extracomunitari, nomadi: i nuovi poveri. «Spesso sono in carcere perché non hanno avuto la possibilità di un’efficace assistenza legale».
Se la disattenzione della politica indica che «l’opportunismo ha le gambe corte, per la Chiesa, la sfida è molto più alta». Una preoccupazione che non è isolata.
C’è chi ha fatto sua la lezione dell’arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini, che iniziò il suo vescovato percorrendo le mura del carcere di san Vittore. A Milano da 80 anni lavorano sulle carceri gli aderenti all’associazione di volontari promossa dai Gesuiti, Opera Sei. E’ loro la rivista Dignitas, che su questi temi fa una importante battaglia culturale.
«In carcere ci vanno i più poveri. Affrontare questi nodi vale più dell’amnistia, che però può essere utile a quelli che hanno piccole pene».
Infine, i rappresentanti di Regione, Provincia e Comune capoluogo ricordino che la medicina penitenziaria sancisce il diritto alla salute all’interno delle prigioni: “i detenuti e gli internati hanno diritto, al pari dei cittadini in stato di libertà, all’erogazione delle prestazioni di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione efficaci ed appropriate”.
Oggi il carcere è più che mai un contenitore di problematiche sociali. La nostra è una legislazione che si orienta sempre più a sanzionare. Sono temi difficili, l’opinione pubblica non apprezza interventi a favore dei detenuti.
Celso Vassalini

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