Festival della Pace, Zaki non invitato a Brescia: «Ha altro a cui pensare»

Questa la replica della casa editrice del libro che l'attivista egiziano avrebbe dovuto presentare in città. Il ricercatore: «Sempre stato dalla parte degli oppressi, ma la striscia di Gaza è una prigione a cielo aperto».

Brescia. «E’ divisivo». Questa la motivazione alla base della scelta della sindaca di Brescia Laura Castelletti di ritirare l’invito a partecipate alla giornata inaugurale del Festival della Pace, a Patrick Zaki, l’attivista egiziano che, nei giorni scorsi, allo scoppio del conflitto armato in Israele, aveva definito Netanyahu «serial killer» per poi aggiungere: «Non sono con Hamas, difendo i civili palestinesi».
«Le sue parole su Israele non rappresentano il messaggio che la città vuol trasmettere- ha spiegato Castelletti che, nei giorni scorsi, era stata criticata dal centrodestra per non aver voluto illuminare Palazzo Loggia , sede del Comune,  con i colori di Israele.
Per Zaki erano già saltati gli appuntamenti a ‘Che tempo che fa’ e all’Arsenale della pace di Torino.

«Ne hanno fatta una questione meramente politica. Una decisione che abbiamo subìto passivamente». Così La Nave di Teseo, casa editrice del libro autobiografico di Patrick Zaki («Sogni e illusioni di libertà») ha commentato l’improvviso ritiro dell’invito da parte di Palazzo Loggia, riferendo che Zaki  «non si è espresso in merito alla presa di posizione del Comune di Brescia, ha altro a cui pensare; alle cose da fare, non a quelle da non fare».
Anche il centrodestra in Loggia ha chiesto che venga revocato il Premio «Brescia per la pace», conferito nel 2021al ricercatore dell’Università di Bologna, annunciando  un ordine del giorno urgente sulla vicenda. Tuttavia il riconoscimento è stato assegnato dal Coordinamento degli enti locali per la pace e non dall’amministrazione comunale che non ha alcun potere decisionale in merito.

Dal canto suo l’attivista per i diritti umani, a lungo incarcerato nel suo paese d’origine, in una lettera aperta a Repubblica, risponde all’intervento di Luigi Manconi sul quotidiano nel quale il sociologo aveva commentato le frasi del giovane egiziano sugli attacchi in Israele. «Lei non è tra coloro che mi danno del terrorista soltanto perché ho deciso di esprimere la mia opinione o la mia vicinanza ai palestinesi. E disapprovo chi mi considera un membro di Hamas», scrive Zaki, rivolgendosi a Manconi. Poi va al punto: «Non ho mai appoggiato un qualsiasi movimento o partito di ispirazione religiosa, e mi riferisco alla mia storia personale, dentro o fuori l’Egitto» precisa.
E spiega: alcuni «potrebbero biasimarmi perché nei miei post non ho menzionato subito il mio ripudio per qualsiasi forma di violenza esercitata o praticata contro un civile indifeso, donna o bambino, non coinvolto in questo conflitto». In ogni caso, «sono contrario all’uccisione o all’aggressione di qualsiasi civile, israeliano o palestinese, non coinvolto nelle violenze, nelle colonie illegali o negli omicidi».

L’attivista egiziano dice di essere «sempre stato, e sempre sarò, dalla parte degli oppressi e degli abbandonati». Ma, sostiene, «molti diritti sono stati negati ai palestinesi nel corso della Storia, a cominciare dal fatto che Gaza è in isolamento totale, è una prigione a cielo aperto, e finendo con il fatto che i palestinesi non hanno libertà di movimento, non possono spostarsi, non hanno opportunità di lavoro e nemmeno la fornitura di risorse di base come l’acqua e l’elettricità».
Adesso, secondo Zaki, «è il momento giusto per sostenere il valore della pace e cercare una soluzione politica pacifica che impedisca la perdita di vite innocenti”. E di fornire «alla Striscia di Gaza gli indispensabili aiuti umanitari e di garantire la sicurezza degli ostaggi e il loro rientro in famiglia senza alcun danno». L’attivista spera infine «che gli italiani rapiti possano tornare dalle loro famiglie sani e salvi il più presto possibile».

 

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