Omicidio Viktorija, i “non ricordo” dell’omicida

Per il consulente della Procura, il 60enne kosovaro, che uccise a coltellate e seppellì la ex compagna 42enne, avrebbe il "gene guerriero", ma ciò non avrebbe influito sulla sua condotta nell'omicidio della donna.

Brescia. «Non ricordo». E’ stata costellata di vuoti di memoria la deposizione resa giovedì in aula da Kadrus Berisa, reo confesso dell’omicidio e dell’occultamento di cadavere dell’ex compagna Viktorija Vovkotrub, la badante ucraina 42enne con cui aveva avuto una relazione, uccisa dall’uomo il 4 novembre 2020 e poi fatta ritrovare dallo stesso sotto metri di terra nella bocciofila abbandonata di via Divisione Acqui in città.

Quella sera, secondo la frammentaria ricostruzione fornita dal 60enne di origini kosovare, i due, nonostante non stessero più insieme e lei avesse allacciato una relazione con un altro uomo, si videro per cenare insieme.
La genesi del delitto sarebbe scaturita nel seno delle abbondanti libagioni di quella notte, che avrebbero procurato all’uomo una serie di amnesie sulla successione degli eventi.
Quello che l’imputato ha raccontato ai giudici è di essersi infastidito per la telefonata intercorsa tra Viktorija e il nuovo compagno, un egiziano, da cui sarebbe iniziata una discussione, culminata, tra i «non ricordo» del 60enne, in 14 fendenti vibrati sul corpo della donna. Quindi l’uomo ha detto di avere scavato la buca e di essersi adagiato accanto alla vittima, intenzionato a suicidarsi. Un racconto interrotto più volte da fasi di “buio” in cui l’imputato afferma di non rammentare le azioni compiute, ma di avere comunque colpito la ex e di averla seppellita. Poi il vuoto di memoria.

Nella perizia psichiatrica di parte il consulente della difesa scrive che Berisa «era incapace di volere. Non ha un disturbo della personalità, ma un disfunzionamento della personalità con l’angoscia dell’abbandono a causa di un’infanzia in cui è stato trascurato dalla famiglia pur non essendoci episodi clamorosi», mentre per il perito della Procura nel 60enne sarebbe ravvisabile il cosiddetto “gene guerriero”, ovvero  una mutazione genetica in grado di ridurre la capacità di controllo, tuttavia questo elemento «non ha influito sulla sua condotta». Gli esperti hanno rilevato nell’uomo «un livello cognitivo generale sotto la norma», ma non un ritardo mentale, «e nel suo racconto c’è una certa quota di strategia difensiva».

 

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