Femminicidio Agnosine, «Mi ha detto che aveva un altro e l’ho uccisa»

Paolo Vecchia, reo confesso dell'omicidio della moglie Giuseppina De Luca, uccisa con 40 coltellate il 13 settembre del 2021 ad Agnosine, ha ammesso il delitto, ma negato sia la premeditazione sia i presunti maltrattamenti alla donna e alle figlie.

Brescia. Ha ammesso di avere ucciso la moglie, dalla quale stava sperandosi (contro la sua volontà, come ha più volte riferito in aula), ma di non avere premeditato il delitto, respingendo anche le accuse di presunti maltrattamenti fisici e psicologici alla compagna di una vita e alle due figlie nate dal matrimonio, durato 25 anni.
Ha testimoniato, nel processo a suo carico per l’omicidio di Giuseppina Di Luca, 46anni, il reo confesso Paolo Vecchia, 53enne operaio di Sabbio Chiese (Brescia), che il 13 settembre 2021 ha ucciso con 40 coltellate la moglie sulle scale della nuova casa in cui la donna era andata a vivere, ad Agnosine.
In aula erano presenti anche le figlie della coppia, Sara e Tania, all’epoca dei fatti 21 e 24 anni.

Vecchia ha ricostruito le fasi del delitto: secondo la sua versione, quel giorno, era andato ad aspettare la ex moglie, che da un paio di mesi aveva allacciato una relazione con un uomo più giovane (anch’egli tra i testimoni sfilati nell’udienza che si è svolta giovedì in Corte d’Assise a Brescia) sulle scale del nuovo palazzo in cui Giuseppina era andata a vivere con una della figlie.
Quando la 46enne ha visto l’ex marito si è spaventata, lo ha allontanato e si è messa a correre. Lui l’avrebbe afferrata per un braccio: voleva trattenerla per parlare dopo che aveva ricevuto la lettera con la richiesta di separazione.  Giuseppina gli avrebbe detto che non voleva più saperne e che aveva un altro uomo. A quel punto si sarebbe innescata la reazione furibonda di Vecchia che aveva con sè due coltelli, portati, a suo dire, per intimidirla, ma non per usarli contro di lei.
Quindi avrebbe iniziato a colpire la moglie alla schiena e al collo, tre quattro volte, secondo il racconto dell’omicida, che non ricorda di avere inferto 40 fendenti. Poi, dopo averla trascinata per un breve tratto, visto che non respirava più, si è allontanato, andando a costituirsi nella caserma dei carabinieri di Sabbio Chiese.

L’uomo quindi ha negato la premeditazione del delitto, ma secondo vicini di casa, colleghi di lavoro e amici di famiglia, più volte Vecchia avrebbe detto di volerla uccidere. Parole che erano state interpretate come un’esagerazione, come una minaccia di un uomo fortemente amareggiato per la situazione. Obiettivo del suo comportamento sarebbe stato, secondo il 53enne, ricomporre la famiglia e fare tornare Giusy a casa. L’uomo ha negato anche i pedinamenti e i presunti abusi fisici e psicologici commessi nei confronti delle due figlie.
«Voglio pagare per quello che ho fatto- ha detto l’imputato- ma non per quello che non ho fatto». «Sono pentito perché ho fatto del male alle mie figlie, a mia moglie, alle mie sorelle e a mia madre» ha aggiunto l’uomo.

In aula è stato sentito anche l’uomo con cui Giuseppina aveva intrecciato una relazione e con il quale aveva trascorso una breve vacanza di Calabria un mese prima di morire. Ha riferito che Giusy temeva per sè e per le figlie e che si definiva «un fiore appassito» perchè continuamente «vessata e umiliata» dal marito e di non farcela più a sostenere la relazione. Durante la vacanza in Calabria la donna aveva ricevuto una telefonata di Vecchia in cui le diceva «non farmi arrabbiare se no sai cosa succede».

 

 

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