Gussago: seppellirono 15 milioni in giardino, la Corte d’Appello blinda le condanne

Dopo la sentenza di primo grado, la Procura aveva fatto ricorso perché riteneva le pene troppo basse. I giudici di secondo grado hanno confermato la sentenza e dimezzato la cifra confiscata a uno degli imputati

Brescia. Martedì la Corte d’Appello si è finalmente espressa sul processo alla famiglia Rossini, già condannata in primo grado per una maxi-frode da 90 milioni di euro. Il caso aveva avuto una grande notorietà perché ben 15 milioni furono trovati seppelliti nel giardino della famiglia o nascosti in altre proprietà. La Procura fece ricorso, ritenendo le pene inflitte troppo basse per un reato così grave, ma martedì la Corte d’Appello lo ha respinto.
Giuliano Rossini e la moglie Silvia Fornari erano stati condannati a 4 anni, il figlio Emanuele la cognata Marta Fornari a 3 anni e 10 mesi.
Il processo aveva portato anche a due assoluzioni e alla condanna di tre imprenditori, accusati di aver tratto beneficio dal colossale giro di fatture false messo in piedi dai Rossini: Michele Logiudice (2 anni e 8 mesi), Marco Pesenti (2 anni) e Carlo Paganotti (3 anni e 10 mesi).
Dopo la sentenza di primo grado, il pm si rivolse alla Cassazione perché riteneva le pene inflitte agli imputati troppo basse e di fatto illegali. La Corte Suprema stabilì che ad esprimersi sulla questione sarebbe stata la Corte d’Appello, dato che la sentenza era già stata appellata da uno degli imputati.
Martedì i giudici di secondo grado si sono espressi per l’inammissibilità del ricorso della Procura, le condanne restano quelle che sono. Non solo: la cifra confiscata dai beni dell’imprenditore Logiudice è stata più che dimezzata, passano da mezzo milione di euro a 213mila euro.

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