Brescia terreno di prova della Lega

Domenica il congresso provinciale per l'elezione del segretario. A contrapporsi Fabio Rolfi e Mattia Capitanio. La partita si gioca tra 'maroniani' e 'cerchisti'.

(red.) Prevarrà la fazione dei maroniani o quella dei “cerchisti” nella Lega Nord di Brescia? Fra poche ore si chiudono i termini per la presentazione delle candidature alla segreteria provinciale del Carroccio in vista delle elezioni dei delegati di domenica 2 ottobre, ma la partita che si gioca è chiaramente quella che vede contrapposti, alla successione di Stefano Borghesi, il vicesindaco di Brescia Fabio Rolfi e Mattia Capitanio responsabile del collegio Bassa Occidentale e capogruppo a Torbole Casaglia.
Brescia sarà terreno di prova tra le due linee del partito, quelle che fanno capo, rispettivamente al ministro dell’Interno e al senatùr Umberto Bossi.
E proprio quest’ultimo non ha mancato di rispolverare i “gesti” che lo hanno reso famoso, agitando ancora una volta il dito medio, incurante delle telecamere e delle critiche che già in passato gli sono piovute addosso. E’ la risposta ai tentativi di toccare le pensioni, rivolta più a chi vuole intervenire sulla previdenza che ai giornalisti, una volta tanto al riparo dalle ‘invettive’ leghiste.
”Non vogliamo mica portare via i soldi ai pensionati per darli agli imprenditori come dice Confindustria, siamo mica matti”, ha detto Bossi. ”Se il progetto è prendere i soldi ai pensionati e darli alle imprese non cambia niente. Rovini solo i poveracci… ma ci siamo noi”, ha chiosato.
Le parole del senatùr appaiono una risposta all’associazione degli industriali che ha attaccato il governo ed un messaggio ‘amichevole’ a chi nella maggioranza chiede di intervenire sulle pensioni.
Ovvio il riferimento a Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti, anche se Bossi li difende: nessuna insistenza da parte loro al vertice a Palazzo Grazioli, ha detto, perchè ”anche loro vogliono bene ai poveracci”.
Il Carroccio prova a rinsaldare la tenuta dell’esecutivo e Bossi ha difeso il governo anche sul richiamo della Cei: ”I vescovi”, ha detto, “dovrebbero dire qualche messa in più”. Ma al premier e al ministro dell’Economia, il ‘capo’ delle camicie verdi ha inviato un avvertimento chiaro: ”Dobbiamo trovare la via per rilanciare l’economia. Quindi bisogna mettere d’accordo un po’ di teste”, ha aggiunto, “Berlusconi e Tremonti sanno che va trovata una soluzione” ai loro dissidi.
”Sanno che bisogna fare delle leggi per rilanciare l’economia ma tutti sanno anche che è anche un problema degli imprenditori”.
Il leader del Carroccio è tornato perciò a calcare la mano contro Confindustria. ”Una volta c’erano gli imprenditori che inventavano il lavoro”, ha sbottato, “ma oggi sono invecchiati anche loro e quelli che inventano sono in Cina. Devono svegliarsi, non basta mettere i soldi ma servono le idee. Mi riferisco alla Marcegaglia? Certo, anche lei”.
Il senatur non si è poi però sbilanciato sulla durata del governo: ”Fino al 2013? Non lo so. Oggi (mercoledì, ndr.), è andata bene”, ha dichiarato riferendosi al voto di sfiducia nei confronti del ministro Saverio Romano alla Camera.
Proprio su questa questione Bossi ha provato a spiegare il voto leghista contro la sfiducia: ”Devi giudicarlo come ministro”, è la tesi proposta dal Carroccio. Ma proprio su questo voto, la base della Lega è tornata a dividersi. Sul web c’è chi si dice deluso e chi dà una spiegazione politica alla decisione leghista. Divisioni meno forti rispetto a quelle sul caso Milanese.
Sembra, infatti, che tra i ‘lumbard’ sia iniziata una nuova fase: ‘maroniani’ e ‘cerchisti’ stanno provando a mettere da parte le incomprensioni degli scorsi mesi. Il ministro Roberto Maroni e il capogruppo alla Camera, Marco Reguzzoni, mercoledì, hanno tenuto un lungo colloquio presso la sala del governo alla Camera. Sono tentativi di dar vita ad una ‘pax leghista’: l’esito potrà essere verificato presto, ai congressi in programma domenica a Brescia e il prossimo fine settimana a Varese. In questo ultimo caso, nel territorio di provenienza di Maroni e Reguzzoni, e’ probabile che si arrivi ad un candidato unitario.

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